La sindrome da workaholic, dipendenza da lavoro, è un comportamento divenuto patologico di una persona, che dedica troppo tempo al lavoro a discapito della sua vita sociale e familiare con conseguenti danni a se stessa e alle sue relazioni.
Un bisogno incontrollabile e incessante di lavorare portando molti lavoratori a dedicare gran parte del proprio tempo libero al lavoro, che fa rientrare tale sindrome a pieno merito nelle New Addiction, insieme allo Shopping Compulsivo, Internet Addiction e altre, da cui si differenzia solo per l’assenza di un agente esterno per ottenere in modo istantaneo un appagamento, essendoci in questo caso la presenza di un’attività, che richiede uno sforzo finalizzato alla produzione di un lavoro, per il quale si prevede un guadagno.
In Italia gli studi in merito sono pochi essendo un fenomeno sottovalutato, anzi qui vi è la presenza di un forte retaggio culturale per cui il lavoro non viene visto in nessun caso come eccessivo, ma come virtù non rendendosi conto quando e se diventa patologico.
Solo negli ultimi decenni viene riconosciuto come un comportamento patologico, mentre in paesi come il Giappone, dove nel 1969 vi fu il primo decesso dovuto all’eccessivo stress derivante dal lavoro, prende il nome di Karoshi (morte per eccesso di lavoro) è largamente diffuso ed è causa di decessi a seguito di infarti, ischemie dovuti alle eccessive ore di lavoro e alle stressanti condizioni lavorative.
Secondo la definizione di Robinson, “il workaholic è un disturbo ossessivo-compulsivo che si manifesta attraverso richieste auto – imposte, un’incapacità di regolare le proprie abitudini di lavoro ed eccessiva indulgenza nel lavoro fino all’esclusione delle altre principali attività di vita”.
Il lavoro diventa il punto centrale intorno al quale ruota tutta la vita di un individuo, che arriva a considerarlo prioritario rispetto a se stesso e alle sue relazioni. Il lavoratore perde totalmente di vista i suoi hobby e i suoi interessi arrivando a dimenticarsi che la vita è fatta anche di piaceri oltre che di doveri.
Persone con degli sbalzi adrenalinici elevati, che fanno avere loro l’illusione di un’energia e una forza infinita portandoli a concentrarsi solo sul successo professionale trascurando la vita sociale e quella affettiva ritrovandosi sempre più soli e annoiati quando non lavorano.
Una dipendenza che potrebbe derivare dalla storia di apprendimento familiare, dove la persona viene educata ad ottenere risultati eccellenti sia a scuola che nella vita extrascolastica tendendo a raggiungere gli alti standard dei genitori. Tali ritmi vengono dal bambino vissuti come normali, con l’obiettivo di ricevere attenzioni e riconoscimenti da parte dei genitori stessi legittimando a volte una chiusura emotiva e il conseguente minor investimento nelle relazioni affettive.
I dipendenti dal lavoro sono persone con tratti di personalità legati all’ambizione, alla competizione e desiderosi di raggiungere traguardi elevati, con un’elevata opinione di sé e un’eccessiva fiducia nelle proprie capacità, orientati al successo, perfezionisti ed estremamente precisi, esigenti e coscienziosi. (Ng e colleghi, 2007)
Per i workaholic l’attività lavorativa diventa un’oasi felice, che permette di tenere lontano le emozioni, le relazioni e le responsabilità in una società che accetta, accoglie e spesso rinforza tale dipendenza tanto da essere denominata la “dipendenza pulita”.
Lavoratori instancabili, che si percepiscono come grandi lavoratori, appassionati del proprio mestiere, che non possono permettersi di staccare la mente e riposarsi per la paura che senza di loro niente possa andare avanti; persone che non riescono a focalizzarsi sul presente, ma perennemente proiettate sul futuro e su quello che si può e si deve produrre riempiendo ogni spazio libero a disposizione.
Un percorso psicoterapeutico diventa importante per comprendere le motivazioni individuali che spingono ad avere tali comportamenti, dare un significato nuovo al lavoro per ricollocarlo al suo posto togliendogli la centralità nella propria vita e di conseguenza riappropriarsi delle proprie emozioni e ritrovare i propri interessi personali per ritornare a vivere una vita anche piacevole.