L’isolamento sociale, conosciuto anche con il termine inglese social withdrawal, si manifesta quando una persona si allontana del tutto dall’ambiente che la circonda ed è caratterizzato da sentimenti di isolamento, di solitudine, con un ritiro dalla società e dalle relazioni interpersonali.
Il restare un po’ soli e allontanarci dalle persone che abbiamo intorno è una necessità che abbiamo provato più o meno tutti in un certo periodo della nostra vita, ma quando questo allontanamento diviene indefinito e la persona smette di avere qualunque tipo di relazione con l’ambiente circostante si è davanti a una problematica.
In Giappone tale fenomeno prende il nome di hikikomori, una parola strana, difficile da pronunciare, che deriva dal verbo Hiku (tirare dentro) e Komuro (ritirarsi) e significa appunto ritiro, isolamento, chiusura.
Termine coniato dallo psichiatra Saito Tamaki negli anni ‘80 per indicare un gruppo di adolescenti e giovani adulti dai 14 ai 20 anni, provenienti da un contesto socio-economico medio-alto, con situazioni familiari stabili senza che vi fossero separazioni o divorzi, che per un periodo superiore ai sei mesi tendevano a isolarsi dal mondo esterno e a rifugiarsi nelle proprie stanze.
Il giornalista Michael Zielenziger in un importante testo dal titolo “Non voglio più vivere alla luce del sole” ha fatto conoscere al mondo il fenomeno dell’hikikomori raccontando la storia di Jun, un ragazzo di 18 anni, che non superando il test di ammissione all’università, va alla deriva fino ad arrivare a chiudersi nella sua stanza dormendo di giorno e leggendo e guardando la televisione di notte. “Occasionalmente prende la sua mountain-bike e di notte scorrazza per le strade della città che dorme. Quando incontra qualcuno dei suoi vicini – racconta Jun – si sente guardato con diffidenza e a volte con ostilità: è troppo diverso dagli altri ragazzi”.
Zielenziger nel suo testo parla della forte pressione della società giapponese, soprattutto verso i ragazzi maschi su cui si riversano altissime aspettative, una società in cui chi cerca una via più personale alla realizzazione di sé viene isolato.
Contemporaneamente però internet, la televisione con programmi occidentali, i film offrono modelli di vita diversi da quelli conosciuti e ciò aumenta il senso di scollamento dal proprio sistema di appartenenza portando al ritiro dal mondo, ma rimanendo, paradossalmente, in contatto con il mondo attraverso le relazioni virtuali.
Un rifiuto dei valori tradizionali tale da chiudersi in una stanza e non far entrare neanche la luce del sole.
Ragazzi schivi e timidi, spesso etichettati come pigri, che possono vivere in un totale isolamento anche per anni, senza alcun contatto reale se non con la madre, se vivono ancora a casa dei genitori, con la quale vi sono comunicazioni brevi, che riguardano generalmente i pasti, che vengono consumati nella solitudine della propria stanza con un vassoio passato dai genitori attraverso la porta appena socchiusa e vanno in bagno con percorsi lasciati il più possibile non frequentati. Si interrompono ogni rapporto con il mondo della scuola, dell’università e del lavoro (U. Mazzone, 2009).
Un fenomeno che in Giappone conta più di un milione di casi e che da una decina di anni si sta diffondendo anche tra i giovani italiani con una stima che va dai 60.000 ai 100.000 casi e che purtroppo va crescendo.
Ragazzi che non riescono a stare al passo in una società in cui regnano ideali di perfezione sottolineati continuamente dai mass-media, in cui non basta essere carini, ma sembra richiesta una perenne perfezione e ogni prestazione che non corrisponde a tale perfezione diventa negativa abbassando l’autostima e provocando in alcuni giovani un senso di inadeguatezza , che diventa ansia sociale.
L’unica soluzione che si reputa possibile, per evitare gli intollerabili sguardi dei coetanei, è il ritiro dalla “passerella” della vita richiudendosi nella sicurezza e protezione della propria camera.
Nella solitudine della propria camera, il giovane si sentirà libero di comunicare con il mondo esterno attraverso social network, community, giochi di ruolo online, luoghi in cui si sente appagato e apprezzato senza che vi siano occhi giudicanti e intollerabili.
L’aiutare un ragazzo che ha deciso di rendersi invisibile rinchiudendosi nella propria cameretta è un lavoro complesso e delicato, lui sta bene protetto nella propria stanza senza lo sguardo di altri, ma sono i genitori ad essere giustamente allarmati e preoccupati.
Saranno loro che chiederanno aiuto e sarà lo psicologo ad andare dal ragazzo, che si rifiuterà di uscire dalla propria stanza, e con un delicato interesse verso di lui fatto di gentilezza e immancabili silenzi iniziali, cercherà di costruire una relazione terapeutica fatta di sguardi e parole in cui lo farà sentire adeguato e pian piano gli farà ritrovare la propria autostima e la sua centralità nel mondo fuori.