La teoria dell’attaccamento
La teoria dell’attaccamento di John Bowlby, implica, nell’uomo, la tendenza innata a ricercare la vicinanza protettiva di una figura ben conosciuta, ogni volta che si costituiscono situazioni di pericolo, dolore, fatica o solitudine.
La prima infanzia è l’arco di tempo in cui la tendenza all’attaccamento opera con grande intensità, essendo questo il periodo nella vita di un individuo, in cui maggiore è la vulnerabilità ai pericoli e minore la capacità di fronteggiare da soli situazioni di disagio.
L’attaccamento perdura nel tempo e si struttura nei primi mesi di vita intorno ad una figura di accudimento; molto probabile che tale legame significativo si instauri con la madre, ma può essere anche il padre se è colui che si prende cura del piccolo.
Secondo l’autore, è essenziale per la salute mentale che il bambino faccia esperienza di una relazione con la propria madre (o con un sostituto di madre che si ponga come figura materna permanente) nella quale entrambi trovino soddisfazione e gioia.
La relazione deve essere:
- continuativa
- intima
- calda
L’attaccamento, che si è sviluppato con la relazione materna primaria o con il caregiver di riferimento, con la crescita si modifica e si estende ad altre figure, sia della famiglia o esterne, per arrivare all’età adulta in cui l’individuo avrà maturato la capacità di separarsi dalla propria figura di riferimento primaria e legarsi a nuove figure di attaccamento.
I modelli operativi interni
Le prime modalità di accudimento dei genitori sono, per il bambino, le prime esperienze affettive le cui conoscenze, derivanti appunto dal rapporto tra bambino e genitore, vengono inglobate in schemi cognitivi che Bowlby chiama modelli operativi interni (Internal Working Models):
- dal modo in cui si è trattati da piccoli emergono rappresentazioni mentali del Sé e delle persone significative del mondo circostante;
- dalla loro struttura dipende la propria fiducia verso le figure di attaccamento, le proprie previsioni su quanto potranno essere disponibili e accoglienti nell’eventualità ci si rivolga a loro in caso di bisogno d’aiuto.
Se le cure primarie saranno state adeguate, quindi basate su una capacità della madre (o di che per lei) di riconoscere le richieste di conforto del bambino e dare la risposta adeguata, l’individuo si sentirà al sicuro perché ha una rappresentazione mentale della figura di attaccamento in termini di base sicura da cui ci si può tranquillamente allontanare per l’esplorazione e poi tornare in caso di necessità.
Stili di attaccamento
Gli stili di attaccamento sono quattro:
- Sicuro: il bambino percepisce la figura di attaccamento come affidabile, sensibile ai suoi bisogni e in grado di dargli protezione e sicurezza.
- Insicuro – Evitante: quando i genitori non rispondono con sensibilità ai bisogni emotivi del bambino rapportandosi a lui in modo freddo e distaccato.
- Insicuro – Ambivalente: la figura di attaccamento risponde alle richieste del bambino in modo saltuario e incoerente con comportamenti imprevedibili.
- Disorganizzato: vi è una madre molto trascurante, violenta e abusante, che perde facilmente il controllo rivelandosi incapace a soddisfare le richieste di attaccamento del bambino.
L’individuo, con una base sicura, è libero di porre la sua attenzione nei contesti in cui vive senza avere aspettative pregiudiziali, può permettersi di esprimere le proprie emozioni, sia che siano di piacere o di paura, con la sicurezza che saranno accolte dalla sua figura di attaccamento.
Nel caso vi sia stata la presenza di una figura di attaccamento primaria imprevedibile o rifiutante, si sarà prevenuti nei confronti degli altri e di se stessi e ciò porterà a interpretare in maniera distorta il comportamento dei propri interlocutori, fino a mettere in atto comportamenti ostili.
Nello specifico, un bambino con una madre imprevedibile ha la sensazione di essere in costante pericolo; da qui il formarsi una rappresentazione mentale di Sé come individuo a rischio, che non merita amore, che si trova in contesti di persone inaffidabili di cui non bisogna fidarsi.
Una figura di attaccamento primaria distanziante, invece, porta a un vissuto di solitudine, con la triste rassegnazione di non essere confortato e aiutato dagli altri; un non essere preso in considerazione che si tramuta in un’immagine di Sé svalutante con la rappresentazione mentale degli altri come ostile.
La relazione di attaccamento deve essere continuativa e Bowlby spiega come separazioni, anche solo temporanee, dalla madre o dalla figura di attaccamento, possano suscitare nel bambino ansietà e rabbia e come questi vissuti possano incidere sullo sviluppo infantile e possano influenzare la capacità di instaurare o mantenere relazioni significative con gli altri.
Conclusione
Un percorso psicoterapeutico può essere utile per andare a ripercorrere la propria storia, per contestualizzare difficoltà del presente e dare loro un significato riconducibile alla propria storia personale.