Cos’è la disposofobia?
La disposofobia, anche conosciuta come “disturbo da accumulo”, è un disturbo patologico ossessivo, che costringe chi ne è vittima ad accumulare oggetti su oggetti, un’acquisizione eccessiva di beni materiali e il non utilizzo degli stessi.
Il termine disposofobia deriva dal greco e significa letteralmente “paura di buttare” e i disposofobici hanno un forte impulso ad accumulare oggetti poco utili e a volte persino pericolosi, a tal punto da sacrificare il proprio spazio vitale e le condizioni di base di igiene pur di conservare i loro oggetti preziosi.
Quanto è diffusa la disposofobia?
Un disagio psichico caratterizzato dall’incapacità di liberarsi di oggetti inutili, di cui pochi ne parlano, anche se in Italia sono diverse migliaia le persone, che ne soffrono e negli Stati Uniti sono circa 2 milioni le persone disposofobiche.
La disposofobia non è un disturbo raro, anche se, per motivi culturali e per la vergogna che ne consegue, viene spesso nascosta all’interno della cerchia familiare.
Gli studi epidemiologici sostenuti negli ultimi anni suggeriscono che la sua prevalenza affligge il 2 – 5% circa della popolazione generale.
Sintomi e comportamenti della disposofobia
Spesso le persone colpite non hanno la consapevolezza di avere un problema e, quando qualcuno fa notare loro come vivono, possono interrompere i contatti con vicini, familiari e amici rischiando l’isolamento sociale.
Un accumulo compulsivo fino ad essere dei “sepolti in casa” dove il conservare vuol dire mantenere la memoria della propria esistenza: “io sono” e tutto quello che mi circonda dimostra la mia esistenza; o anche la paura del futuro e di perdere il proprio passato.
Il tenere tutto per sopperire a degli eventuali bisogni a cui si potrà dover far fronte nel futuro, e non trovarsi nella condizione di dover fare delle rinunce.
Conservare vuol dire:
- dimostrare la propria esistenza;
- affermazione della propria identità, come se questa sia rappresentata da oggetti e azioni.
Inquadramento diagnostico della disposofobia
Negli ultimi anni sono aumentati gli studi su tale disturbo, anche se attualmente risulta meglio caratterizzato nei suoi aspetti clinici che non sei suoi aspetti psicopatologici, ed è stato inserito nella nuova versione del Manuale Diagnostico dei Disturbi Mentali (DSM) in una categoria a parte dal nome Hoarding Disorder.
Secondo una ricerca genetica, pubblicata sull’American Journal of Psychiatry, le persone disposofobiche hanno, nel loro albero genealogico, almeno un parente di primo grado con disturbi di natura compulsiva.
La malattia segue un corso cronico con un inizio intorno ai 20 anni, con episodi cronici intorno ai 35 anni d’età.
Personalità disposofobica
Il disposofobico è tendenzialmente una persona insicura con difficoltà nelle decisioni che implicano delle scelte.
Possibili cause del disturbo disposofobico
Le radici del disturbo, sia nella sua forma lieve che patologica, può aver origine da un trauma subito nell’età infantile, in cui l’individuo ha dovuto scegliere.
Conclusione
Un percorso psicoterapeutico può essere utile per comprendere l’origine del disturbo e di aiuto per svuotare gli spazi e ritornare a mettere al centro della propria esistenza se tesso.