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Emozioni e alta sensibilità

Depressione

L’ipersensibilità può essere definita come una modalità di risposta fisica, mentale ed emotiva molto acuta agli stimoli esterni sociali e ambientali o interni.

Una tendenza a provare emozioni intense a stimoli esterni, come a immagini e suoni, che lasciano indifferenti gran parte delle persone, mentre vanno a toccare corde molto profonde in alcune persone.

Negli anni ‘90, la psicologa americana Elaine Aron è stata una delle prime ricercatrici ad approfondire il tema delle persone altamente sensibili.

La psicologa utilizza il termine “alta sensibilità” per descrivere la tendenza ad avere una maggiore sensibilità nell’elaborazione delle informazioni sensoriali (sensory-processing sensitivity o SPS), che propone la presenza di un tratto fenotipico caratterizzato da maggior profondità di elaborazione, maggior consapevolezza dei dettagli dell’ambiente circostante, una maggior reattività emotiva e un’empatia più sviluppata essendo più facilmente sopraffatti dalle proprie sensazioni.

Tale maggiore sensibilità nell’elaborazione delle informazioni sensoriali viene considerata, da Elaine Aron, come un tratto distinto di origine neurologica e non presenta differenze di genere: ci sono tante femmine quanti maschi altamente sensibili e la presenza di tale tratto di personalità è influenzato dalla cultura di appartenenza.

La SPS non va confusa con altri costrutti come la timidezza o l’introversione, in quanto nonostante questi ultimi siano legati ad una maggior reattività agli stimoli esterni non hanno niente a che fare con l’alta sensibilità, che costituisce un tratto distinto.

La timidezza rappresenta la risposta che l’individuo mette in atto quando teme di essere giudicato ed è quindi un stato temporaneo, mentre l’alta sensibilità è un tratto permanente; l’introversione non è collegata all’alta sensibilità, perché, da delle ricerche, è emerso che una percentuale del 30% di individui altamente sensibili sono estroversi.

Quindi la ipersensibilità è una sensibilità nettamente più elevata della media, con una reazione molto più intensa a stimoli ambientali, con reazioni emotive più forti e intense. Sensibilità che si manifesta sia nel registro sensoriale (stimoli visivi, suoni, odori, sensazioni tattili) sia in quello emozionale (sensibilità alle proprie emozioni e a quelle degli altri).

Le persone altamente sensibili talvolta vivono la propria ipersensibilità come un disturbo, ma, vedendola da un’altra angolazione, offre anche dei vantaggi, come la capacità di rilevare i segnali meno evidenti all’interno delle relazioni sociali, ed essendo molto sensibili ai dettagli, riescono a cogliere gli aspetti non verbali della comunicazione e a comprendere più facilmente le emozioni altrui. Inoltre, avendo la tendenza ad analizzare tutti i dettagli, riflettono e ponderano prima di agire ed entrare in un nuovo contesto.

Purtroppo però le persone molto sensibili sono particolarmente destabilizzate dallo stress e sono più facilmente sovrastimolate e, di conseguenza, sovraccaricate nelle situazioni prestazionali come esami, discorsi in pubblico.

L’elevata sensibilità in sé non è un disturbo, è un tratto di personalità con i suoi vantaggi e i suoi svantaggi. Una volta assicurati che l’ipersensibilità non dipenda da un disturbo psicologico: ansia, personalità borderline, disturbi dell’umore, depressione e così via, si può sfruttare la propria sensibilità elevata come risorsa e non come limite.

Quando la propria sensibilità elevata non è accettata e ha ripercussioni negative sulla propria immagine di sé e sull’autostima può essere utile rivolgersi ad uno specialista per imparare a regolare e a gestire le proprie emozioni senza liberarsi di quella sensibilità, che ricordiamolo è un punto di forza individuale.