Il disturbo evitante di personalità è caratterizzato da evitamento sociale, ipersensibilità al giudizio negativo, paura di essere rifiutato e sentimenti di inadeguatezza e inferiorità.
La persona con un disturbo evitante di personalità tende ad avere una vita ritirata, evitando di esporsi all’incontro con l’Altro per non vivere quel malessere di inferiorità e di senso di inadeguatezza ormai radicato in lei.
Un evitamento di emozioni spiacevoli e situazioni nuove, che fa sì che siano persone fondamentalmente sole senza che vi sia la presenza di una rete amicale e che sul lavoro si mantengono ai margini rinunciando a un possibile avanzamento di carriera per non essere sottoposti al giudizio degli altri; tuttavia in loro vi è il desiderio di stringere relazione, avere un partner, condividere interessi con gli altri, ma la difficoltà a superare l’imbarazzo e la possibile umiliazione li spinge ad evitare il confronto.
Le relazioni abituali e rassicuranti, per esempio con i familiari più stretti, sono il terreno conosciuto senza pericolo, mentre le altre sconosciute sono desiderate, ma al tempo stesso temute, per la valutazione negativa degli altri, a tal punto da rimanere un bisogno inespresso ed essere la causa di un malessere sperimentato come senso di vuoto o a volte senso di esclusione.
E’ come se fossero in un film, in cui loro sono spettatori passivi e assistono allo scorrere della vita degli altri, mantenendo costantemente la distanza dagli altri e non sentendosi di appartenere ad alcun gruppo.
Quando si trovano a doversi confrontare con altre persone vivono il disagio di non essere visti, non essere considerati: tale sensazione negativa favorisce il mantenimento della convinzione di valere poco e non avere le abilità sufficienti per stabilire e mantenere una relazione.
L’evitamento diviene l’unico strumento autoprotettivo per difendersi da ciò che provoca malessere, dalle proprie emozioni negative, si impedisce di sviluppare le abilità relazionali e non si viene a contatto con le proprie emozioni.
Il disturbo evitante esordisce nella tarda adolescenza e prima età adulta con una percentuale tra lo 0,5% e l’1% della popolazione e risulta essere ugualmente frequente nei maschi e nelle femmine.
I soggetti che lo sviluppano arrivano da storie familiari spesso con genitori rifiutanti, inflessibili, poco attenti ai bisogni emotivi dei figli e più concentrati a fornire un’immagine sociale impeccabile.
La poca cura dei genitori, gli atteggiamenti troppo rigidi non hanno favorito la sviluppo dell’intelligenza emotiva: la capacità di riconoscere in se stessi e negli altri gli stati emotivi ed utilizzarli per la risoluzione di problemi della quotidianità.
Oppure viceversa può insorgere quando, da un ambiente familiare caldo, accogliente e prottetivo, ci si ritrova in un contesto extra-familiare aggressivo, denigrante e giudicante.
La persona evitante tende ad accettare con fastidio l’abitudine alla solitudine, rassegnata dal poter avere una propria vita relazionale, un lavoro psicologico potrebbe essere d’aiuto per recuperare e conoscere le proprie emozioni, imparare a leggere adeguatamente gli stati mentali degli altri, sperimentare un senso soggettivo di appartenenza e condivisione per divenire, da spettatore passivo, attore protagonista della propria vita.